Dopo il Don Giovanni di Molière, Valerio Binasco frantuma la tradizione con un Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni che guarda più alla commedia all’italiana che alla commedia dell’arte, dando voce a un’umanità vecchio stampo, paesana e arcaica, che ha abitato il nostro mondo in bianco e nero.
Il suo stile cinematografico, fatto di sintesi, unità di azione e suspense, è al servizio di una commedia della stravaganza che diventa un gioioso viaggio nel tempo, alle origini del teatro italiano e della sua grande tradizione comica, con un cast capitanato da Natalino Balasso.
Note di regia
A chi mi chiede: «Come mai ancora Arlecchino?» rispondo che i classici sono carichi di una forza inesauribile e l’antico teatro è ancora il teatro della festa e della favola. Goldoni è capace di una scrittura che è solo in apparenza di superficie; se vado nei dettagli, non solo del testo, ma soprattutto delle ragioni che spingono i personaggi a dire quelle cose e non altre, scopro una ricchezza di toni interiori che ben si adatta a essere interpretata con sensibilità contemporanea.
Valerio Binasco