PRIMA NAZIONALE
A 50 anni dal ’66, il giornalista e drammaturgo Alberto Severi riflette sull’alluvione che arrivò Fincostassù, al massimo di 13 metri sul livello stradale di Firenze.
Una sorta di spartito a più voci per attore solo, trascinato a testimoniare le varie fasi della catastrofe, assumendo di volta in volta l’identità di traghettatore beone o di sommesso eroe dell’acquedotto, di acida bottegaia o di cacciatore spaccone, di pittore dongiovanni o di pretino di curia, di rigattiere filosofo o di ciarliera moglie dell’orefice di Ponte Vecchio.
Una produzione Fondazione Teatro della Toscana.
Trama
“Fin costassù” è arrivata l’acqua d’Arno nel 1333, nel 1844, nel 1966…
I fiorentini a volte sembrano indicare quasi con orgoglio, ai “forestieri”, le lapidi apposte sui muri del centro storico, a segnare il livello raggiunto dalle acque limacciose del fiume in occasione delle alluvioni che hanno devastato Firenze nel corso dei secoli.
L’espressione semi-dialettale diventa qui il titolo, e il pretesto, per una sorta di spartito a più voci per attore solo: dove una sorta di proteiforme personaggio collettivo, trascinato suo malgrado dal bozzetto vernacolare al dramma a fosche tinte, viene chiamato dagli eventi a testimoniare le varie fasi della catastrofe, assumendo di volta in volta l’identità di traghettatore beone o di sommesso eroe dell’acquedotto, di acida bottegaia o di cacciatore spaccone, di pittore dongiovanni o di pretino di curia, di rigattiere filosofo o di ciarliera moglie dell’orefice di Ponte Vecchio. Il vernacolo con i suoi stereotipi, insomma, travolto e tuttavia ancora galleggiante nella Tragedia. Almeno mezzo secolo fa, nel 1966.
Fluisce, si ingorga e tracima, così, a imitazione dell’Arno in piena, una teoria di figure e vicende ora tragiche, ora comiche – e spesso tragicomiche –, per raccontare il diluvio come in diretta, a distanza di mezzo secolo, passandosi il testimone della narrazione-rappresentazione. Fino allo struggente finale affidato al personaggio di Angela, l’angelo del fango, con le sue limpide lacrime riparatrici, e al controcanto ironico di Polvere, il cenciaolo-filosofo che di Firenze rappresentava, già a metà del ventesimo secolo, l’estrema, dimessa incarnazione.
Note di regia
“Prima di comprendere il significato, se ne percepisce il suono. Fincostassù quindi suona, anzi, è suonato da una piccola e disperata orchestrina che affannosamente cerca non essere sovrastata dal fragore della catastrofe. Ogni personaggio è uno strumento che interpreta il proprio sgomento davanti al fiume di fango che, a qualcuno divora tutto, ricordi, certezze, ricchezza e ad altri regala illusioni, speranze e umanità.
Il testo di Severi racconta l’alluvione prima, durante e dopo, con le domande che restano sospese come i segni sui muri delle case, con i forse, i se, con le ipotesi, i dubbi e soprattutto con quel reagire tipico della nostra gente, carico di ironia feroce, che fa dei fiorentini un popolo a sé.
In una lotta/danza con il suono, la luce e la materia che incombono, Marco Zannoni, attore dai mille registri, che riesce a coniugare la forza del dialetto con il più raffinato surrealismo, è l’interprete ideale di questa tragicomica suite teatrale.”
Lorenzo Degl’Innocenti