Foto Filippo Manzini
PRIMA NAZIONALE
La sera del debutto, per immergersi appieno nell’allestimento di questo Giardino, si chiede al pubblico di vestirsi di bianco o di indossare almeno un elemento di colore bianco.
Si dice che i classici vivano senza tempo e Il giardino dei ciliegi è un grande classico. Dopo l’esperienza con il Teatro nazionale di Cluj-Napoca, in Romania, Roberto Bacci torna a dirigere il capolavoro di Anton Čechov con un gruppo di giovani attrici e attori del Teatro della Toscana, immersi in uno spazio pieno di petali bianchi.
La macchina semplicissima del racconto ci mostra un mondo che scompare, una generazione e un’economia che avanzano travolgendo tutto. Il giardino che viene reciso e travolto da quel “progresso” inesorabile, diventa una riflessione necessaria sull’essere presenti o, meglio, sul senso della eredità che lasceremo. Uno spettacolo che Čechov intendeva come una commedia brillante, dove la leggerezza e la comicità sono strumenti per e da meditare.
Foto Roberto Palermo
Trama
L’aristocratica Ljuba torna a casa dopo un periodo trascorso all’estero per rimettersi dalle sciagure che le hanno tolto il marito e il figlio; la sua proprietà è in pericolo a causa della sua maldestra amministrazione, ma lei non se ne rende conto. Con lei torna anche la figlia Anja, per la quale spasima lo studente Trofimov, già precettore del bambino defunto; a casa era rimasta invece Varja, figlia adottiva con la testa sulle spalle, conscia dei pericoli che incombono sulla casa, e che tutti danno per fidanzata con il mercante Lopachin, nonostante lui non si sia mai proposto. Questi, milionario, consiglia di costruire, nel giardino dei ciliegi, villini per i villeggianti, ma Ljuba e suo fratello Gajev non capiscono che il fallimento è alle porte, che presto ci sarà un’asta: Ljuba continua, al contrario, a sprecare soldi. Tutti vanno incoscienti incontro alla deriva, salvo Lopachin, che continua ad avvertirli, e Trofimov, idealista, che crede in un futuro migliore e ne parla con accenti profetici.
Note di regia
“Appaiono in controluce le domande su quale sia il senso della eredità che comunque lasceremo. Non soltanto per il passare delle stagioni, bensì l’eredità della nostra storia come genere umano. Di come l’economia e le nostre scelte individuali e collettive trasformino il nostro sentire della vita, i sentimenti, le emozioni e i giudizi su noi stessi.
Čechov desiderava che il suo Giardino diventasse una commedia brillante e certamente il suo testo ne possiede la natura. Tuttavia, se non ci lasciamo abbagliare dalla sua leggerezza o dalla comicità che a volte ci fa sorridere, il Giardino dei Ciliegi è anche uno strumento per e da meditare. Anche per questo è un capolavoro nella storia del teatro occidentale.
Così, quando raggiungiamo la cima di questa montagna che è il nostro Giardino, chi troviamo ad attenderci è soltanto noi stessi con le domande che forse avevamo dimenticato giù, all’inizio della scalata.
Ma tra tutte quelle domande una soltanto ci ha risvegliato anche al nostro mestiere nel teatro: «E voi, che cosa cercate?»”
Roberto Bacci