HAMLETMACHINE

Saloncino 'Paolo Poli'
Teatro della Pergola
23 Gen 2018 - 25 Gen 2018
Robert Wilson | Heiner Müller
testi Heiner Müller
ideazione, regia, scene e luci Robert Wilson
co-regia Ann-Christin Rommen
con Giovanni Firpo
adattamento luci John Torres
collaboratore alle scene Marie de Testa
costumi Micol Notarianni
dai disegni originali di William Ivey Long
make up & hair Manu Halligan
con i performer dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico
con Liliana Bottone, Grazia Capraro, Irene Ciani, Gabriele Cicirello, Renato Civello, Francesco Cotroneo, Angelo Galdi, Alice Generali, Adalgisa Manfrida, Paolo Marconi, Eugenio Mastrandrea, Michele Ragno, Camilla Tagliaferri, Luca Vassos, Barbara Venturato
drammaturgia originale Wolfgang Wiens
musiche Jerry Leiber e Mike Stoller
sound design originale Scott Lehrer
sound design e fonica Marco Olivieri con Dario Felli
operatore luci Marcello Lumaca
make-up Antonella Marinuzzi
direttore tecnico Giuliana Rienzi
assistente personale di RW Nelson Gellrich
delegato di produzione Virginia Forlani
con la collaborazione di Elisa Crespi, Maddalena Papagni, Andrea Villa
nuova versione basata sulla produzione originale del 7 Maggio 1986 alla New York University, New York
produzione Compagnia dell'Accademia Nazione d'Arte Drammatica Silvio D'Amico
progetto di Change Performing Arts
commissionato da Spoleto Festival dei 2Mondi
per l' Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico
foto di scena Lucie Jansch
foto Fabio Lovino
luogo dello spettacolo Saloncino 'Paolo Poli' del Teatro della Pergola | Via della Pergola, 30 - Firenze
Orari 20.45

La durata dello spettacolo è di un'ora e 40 minuti, atto unico.
Prezzi Intero
18€

Ridotto (Over 60, Under 26, Abbonati Teatro della Toscana, Soci UniCoop Firenze)
15€
Quando:
23/01/2018 - 20:45–21:45
2018-01-23T20:45:00+01:00
2018-01-23T21:45:00+01:00

Dopo 31 anni torna Hamletmachine di Heiner Müller nella visione di Robert Wilson con gli allievi diplomati dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio d’Amico’.
Una meditazione su Amleto e miriadi di altri argomenti, da altre opere di Shakespeare fino all’insurrezione ungherese del 1956, fino a un tipo di vendetta femminista sulla mascolinità incerta, che non racconta una storia e non sviluppa personaggi nel senso tradizionale.
Müller e Wilson condividono un misticismo pieno di immagini apocalittiche, distante tanto dalle convenzioni del teatro commerciale americano, tanto dalla pietà del socialismo realista.
Wilson consente alla parola parlata di essere ascoltata e capita. Il testo di Müller raggiunge gli spettatori attraversando un intenso paesaggio sonoro, così da rendere difficile la comprensione di cosa accada realmente in palcoscenico e cosa invece sia parte di una traccia sonora registrata. Raramente gli attori recitano liberamente senza distorsioni sonore. L’opera non si manifesta unicamente visivamente, ma piuttosto acusticamente, con un’estrema chiarezza e plasticità.
Un progetto di Change Performing Arts commissionato da Spoleto Festival dei 2Mondi per l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio d’Amico’.

Concepito nel 1977 dopo il primo viaggio in America dell’autore, Hamletmachine nasce originariamente dall’incontro tra Heiner Müller e Robert Wilson, venendo alla luce quasi nove anni più tardi.

L’amicizia tra Robert Wilson e lo scrittore della DDR Heinrich Müller non fu solo leggendaria, ma anche estremamente produttiva: Müller scrisse testi per la Sezione Colonia di The Civil warS (1984), The Forest (1988) e La Mort de Molière (1994), e alcuni di questi vennero usati in Medea (1984), Alceste (1986) e Ocean Flight (1988).

Müller dichiarò successivamente che la versione di Hamletmachine concepita da Wilson fosse “il miglior spettacolo di sempre” nella sua intera carriera, celebrando l’opera per l’incredibile e innovativo impianto illuminotecnico e visivo e per la quasi totale assenza di interpretazione scenica. Elogiato da Gordon Rogoff nei suoi scritti come “un trionfo”, valse a Wilson un Obie Award come Miglior Regista.

La prima messa in scena risale al 7 maggio 1986 sul palcoscenico del teatro della New York University con la partecipazione degli allievi stessi; la versione tedesca segna invece il suo debutto il 4 ottobre dello stesso anno alla Kunsthalle di Amburgo. Lo spettacolo non è stato più ripreso da allora, e ritorna in scena quindi dopo ben 31 anni grazie alla commissione di Spoleto Festival dei 2Mondi e alla partecipazione dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio d’Amico’.

Müller preferisce la tragedia alle altre forme teatrali, perché gli permette allo stesso tempo di poter “dire una cosa e il suo esatto contrario” e non suggerire, invece, l’autodistruzione. Piuttosto offre così se stesso, spogliato all’essenziale. La fotografia stappata è quindi metafora del suo io – spoglio, dannato, diviso.

Nulla in Hamletmachine può essere preso come lo si trova, ancor meno le nostre aspettative teatrali o la nostra esperienza Shakespeariana. Ma se questa fosse la sua unica innovazione, sarebbe soltanto un’altra versione delle frammentarie forme non lineari che hanno sovvertito il teatro drammatico sin da Woyzeck. A Müller non interessa la cronologia degli eventi, mescola così diversi periodi insieme, o episodi della sua stessa biografia. A differenza però della maggior parte degli americani, utilizza il palcoscenico come discorso pubblico piuttosto che la confessione privata.

Letteralmente, il testo sembra essere più di uno scarabocchio dadaista: Il cuore di Ofelia è un orologio, le prime parole pronunciate da Amleto son “Io ERO Amleto”, ma allo stesso tempo lster sostiene che fosse Macbeth; il terzo atto, “Scherzo”, si svolge all’Università dei morti; l’attore che interpreta Amleto non dovrebbe notare che i macchinisti stanno posizionando un frigorifero e tre televisori sul palcoscenico; nel quarto atto, Amleto attacca la testa di Marx, Lenin e Mao con un’ascia.

Ma anche se tutto questo potesse essere letteralmente rappresentato, Müller è comunque più provocante, astuto, teatrale, anche dei suoi più sfrenati sogni. In Wilson, Müller ha trovato il regista perfetto per dare vita/luce al suo scarabocchio, e in Muller, Wilson ha finalmente trovato il drammaturgo che può dare peso alle sue straordinarie e impalpabili visioni.

Una volta visto, nulla potrebbe essere più semplice di quella soluzione razionale, cubista e geniale di Wilson, ma non è probabile che chiunque altro avrebbe potuto immaginare qualcosa del genere.