la leggenda del grande inquisitore

11 Nov 2014 - 16 Nov 2014
Umberto Orsini
da I fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij
con Leonardo Capuano
scene Federico Babina, Pietro Babina
costumi Gianluca Sbicca
musiche Alberto Fiori
soundesign Alessandro Saviozzi
video effects Miguel D'Errico
regia Pietro Babina
produzione Compagnia Orsini
Durata dello spettacolo 75 minuti atto unico
Orari da martedì a sabato: 20.45; domenica: 15.45
Quando:
11/11/2014 - 12:45–17:30
2014-11-11T12:45:00+01:00
2014-11-11T17:30:00+01:00

Umberto Orsini e la sua nuova Compagnia producono in questa stagione  La Leggenda del Grande Inquisitore da I Fratelli Karamàzov di Dostoevskij. L’incontro di Orsini con Ivan Karamazov nel 1969, con lo sceneggiato prodotto dalla Rai diretto da Sandro Bolchi e adattato da Diego Fabbri, ha da sempre lasciato nel pubblico una grande ammirazione e il desiderio di poterlo reincontrare. Oggi insieme a Leonardo Capuano, Orsini scrive una nuova drammaturgia per lo spettacolo tratto dal celebre romanzo che affida alla regia di Pietro Babina. Umberto Orsini in questa edizione è di nuovo un immaginario Ivàn Karamàzov maturo che si misura, attraverso uno specchio, con il se stesso giovane. In scena, accanto al doppio personaggio, Leonardo Capuano, un Mefistofele di eco faustiana con il quale l’Inquisitore si industria a classificare temi ossessivi quali fede, mistero, autorità, peccato e libertà.

La storia
Ivàn Karamàzov espone al fratello Aleksej la propria idea per un racconto allegorico ambientato in Spagna, ai tempi della Santa Inquisizione. Dopo quindici secoli dalla morte, Cristo fa ritorno sulla Terra: pur apparendo sotto mentite spoglie viene riconosciuto e incarcerato dal Grande Inquisitore. Condannato a morte, riceve nelle segrete dove è rinchiuso la visita del suo giudice, il Grande Inquisitore, che gli illustra una sconcertante visione del mondo e del rapporto con Dio.

Note di regia
Credo che uno spettacolo non debba essere un tentativo di risposta, piuttosto il tentativo di condividere una domanda. […] Non si è dunque trattato di attualizzare attraverso la messa in scena un testo che viene da un’altra epoca, né si è dato per scontato che le sue parole siano ancora valide, pronunciabili. Ma si è partiti dal presupposto che lo spettacolo stesso interrogasse il testo, lo mettesse alla prova, al confronto con un “essere” mutato, trasformato. Da questo, nasce l’idea di un Ivàn che si interroga, fa i conti con i suoi contenuti e compie questa sua auto-interrogazione sul punto limite tra vita e morte, tra morte e resurrezione, che non sono la morte e la resurrezione di un uomo, ma quelle di un personaggio e del suo racconto.
Pietro Babina