INAUGURAZIONE VENERDÌ 31, ORE 17.00 – TEATRO DELLA PERGOLA
“Seguo un processo simile a quello dello stilista Dries Van Noten, che mi ispira anche molto per quanto riguarda il vocabolario creativo. I miei dipinti sono un lavoro di introspezione, di riflessione su me stesso… Quello che faccio non è né una copia né un omaggio. Si tratta di essere commosso dal lavoro di un altro artista e di trasferirlo altrove, in un altro universo, un altro spazio fisico e mentale, in maniera soggettiva e personale. È quando metto in giuoco questa risonanza col lavoro di un altro, di un altro pittore (per esempio del Rinascimento italiano), che emerge in me l’ispirazione iniziale e comincia il processo creativo. Non nego che ci sia disinvoltura in questo modo di fare, che combina cultura popolare e cultura diciamo «alta», storia, religione, politica, vero e falso, vecchio e nuovo, patina e luminosità, esuberanza e aspetto sgargiante, e forse anche buon e cattivo gusto… ma questo vortice fa parte della libertà di espressione, del fare arte… e non m’importa moltissimo se vado contro, a volte in modo eccessivo, a certe emozioni rigide e idee preconcette. Per spiegarmi, mi piace rifugiarmi dietro la formula di Hans Richter, a cui un critico chiedeva cosa significava un certo quadro: «Se lo sapessi, significherebbe che ho fallito.» Come Magritte, mi voglio limitare a queste tensioni della mente che permettono di catturare le opportunità inaspettate, quelle che, altri- menti, sfuggono. E dopo? Pennelli.”
Gilbert EROUART
“Gilbert Erouart si è dato totalmente alla pittura lasciandosi dietro le spalle una duplice carriera, quella di storico dell’arte appena avviata e quella che ne ha preso il posto, anni fa, di diplomatico. Sollecitato da un esplicito invito, una sfida perentoria, fattagli dall’amico Riopelle. Non aveva altra scelta, suppongo. L’artista è pienamente coinvolto nella sua opera, chiamando in causa la sua immaginazione, il suo desiderio pittorico. La sua fame di pittura. Finisco così per condividere almeno in parte l’affermazione che altri ha esplicitato secondo cui danza e disegno si contendono un impulso originario per il quale, temporaneamente, ci poniamo fuori di noi stessi. Lo ricordo a me stesso nel mentre vado osservando alcuni suoi cicli pittorici (perché Gilbert lavora per temi o cicli tematici) che, ponendosi fuori di sé, Gilbert Erouart dipinge, per così dire, danzando. Offre, quadro dopo quadro, inattese suggestioni.
Le acrobazie delle donne – dalla tuffatrice al nudo che esce dal letto, dipintecon passione e finezza, con ardore e distacco, rivelante una triste nostalgia e una irriducibile vitalità – più d’altri soggetti richiamano in me, non saprei dire perché, un’analogia verbale, questo sì. Avrei voglia di citare Valéry: “Ti piacerebbe sentire le loro ali alle tue parole e ornare il tuo detto di figure vivaci quanto i loro salti!”. Frattanto si sparge nell’aria dello studio parigino, al tempo stesso elegante e modesto, spazioso e raccolto (sotto casa, una casa assai ampia e accogliente, una rarità per Parigi) e si mescola alle essenze dei colori ad olio, alle vernici, ai miasmi insomma della fucina erouartiana il sapore della città: non il rumore, quest’atelier pur vicino a Pigalle e al Sacro cuore, è silenziosissimo e sembra sospeso ai confini della realtà, inondato com’è, a momenti, da una luce che richiama la Grecia. A tratti si percepisce anche un sentore di carbone, un che di ferro e fuoco. I ricordi dell’infanzia? Interrogo ancora l’autore. Egli non si sottrae affatto, si lascia anzi tentare e conclude con il dare campo a un rispecchiamento di sé, l’altro Gilbert Erouart, lo storico dell’arte.
Gilbert, nel voler manifestare con tanta insistenza un attaccamento alla storia della pittura sta tentando di esporre un paradigma critico che corrisponde in qualche modo a un rilancio della pratica pittorica, nella speranza di ricavarne un orientamento salvifico, quell’orientamento che vi si può riscontrare in epoca storica.
Che cosa potrebbe voler dire, tutto ciò? Forse che tali nutrimenti una volta metabolizzati si tramutano, possono tradursi in un vivere di rara intensità all’insegna dell’arte, un vivere intero. Cosicché, posso arrischiare: le opere pittoriche di Gilbert Erouart che stiamo recensendo in funzione di questa mostra antologica vincolata al quinquennio di sua “vita nova”, una vita da artista, offrono al di là d’ogni possibile richiamo,una magia.”
Rolando BELLINI, curatore della mostra