SECONDA TAPPA – PROGETTO SCUB

Belgrado, 23-27 settembre 2022

In questo nostro viaggio Belgrado è il luogo che ci racconta come la guerra, che anche qui ha lasciato profonde cicatrici nel corpo e nell’anima della città, diviene anche un momento in cui l’arte rivela la sua profonda capacità di dare sfogo alla resilienza e al bisogno di dar forma e colore all’umanità. Se l’uomo può cedere alla violenza, l’arte può dare voce al silenzio della pace, immaginando nuovi spazi, lavorando sulle relazioni, costruendo cittadinanza.

Un esempio è il Radnički muzej Trudbenik, uno luogo che nasce dalla necessità di avere uno spazio in cui ricordare e tramandare le conquiste della classe operaia costretta a essere stipata in una porzione di città, un luogo per discutere il destino della società e dell’economia durante il regime di Tito. Un museo per celebrare il ricordo della lotta.

E poi ancora Lenka Z., che fa parte di NEpraktične žeNEde, un collettivo di donne che, ironizzando sul significato di essere casalinghe (“Praktične žene” era una blasonata rivista dedicata alle massaie), costruiscono una loro precisa identità di voce dissidente. E si riappropriano di una delle antiche forme d’arte tradizionale tipica dei Balcani: il ricamo, con il quale poter esprimersi contro le ingiustizie/parlare favore della libertà d’espressione/esprimere dissenso/raccontare umanità. E i loro ricami diventano letteralmente “pezzi da museo”, esibiti nelle mostre sia nelle capitali balcaniche, sia in quelle Europee. Lenka, infatti, ha partecipato in questi giorni alla mostra Doing The Dirty Work, all’interno del Festival di arte e attivismo a Vienna.

Ma ancora più interessante è incontrare Draga Protić, uno dei fondatori di Škart, un collettivo fondato alla Facoltà di Architettura di Belgrado nel 1990, quasi in concomitanza con l’inizio della guerra. di Škart letteralmente significa scarto: questo ci interroga su quanto è importante lavorare nel cercare di dare significato a ciò che viene formalmente non accettato/escluso.

La loro attività, incentrata sull’incontro fra poesia e design, parte dall’obiettivo principale di lavorare per una “architettura delle relazioni umane” che diventa voce della resilienza della città. Nel periodo 1992/1993 disegnano manifesti contro la guerra (che appendono silenziosamente nella notte, e che poi ogni mattina vengono puntualmente smontati); poi The Sadness Project, piccoli segnalibri poetici distribuiti gratuitamente tra le persone, che, parlando della tristezza, rivelano la potenza emotiva delle emozioni, belle o brutte che siano, The Sadness of Potential Landscapes. E poi ancora trasformano i piccoli talloncini distribuiti dal governo per permettere alle famiglie di approvvigionarsi durante la guerra di pane, olio e di tutti gli essenziali generi alimentari e non, in piccoli buoni per altri bisogni, quindi buoni per ricevere un abbraccio, per ricordare di continuare a resistere, per ricordarci di essere umani, tradotti in diverse lingue, in tutte le lingue. Perché le guerre hanno un’unica vittima: l’umanità.

L’arte come espressione di vita, di quanto sia terribile, di quanto sia bella.

 

Don’t let them screw you.

Life is pretty short.

So drink up, go to town!

Even that won’t be enough

when you’re dead sober six feet down.

 

Against Bullshit / Contro le cazzate

(Bertolt Brecht, tradotto da Ed Ochester)

 

Chiara Donà

Relazioni e Progetti internazionali Teatro della Toscana

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