Ioannina 12 – 16 ottobre 2022
Scrivo questa pagina di diario al mio ritorno da quest’esperienza dei Balcani. Sono passati già poco più di 10 giorni, e (come spesso capita quando si torna a casa dopo un lungo viaggio) la mente fatica a organizzare i pensieri intrappolati in una fisarmonica di emozioni.
L’ultima tappa del nostro viaggio è stata Ioannina, una piccola cittadina capoluogo dell’Epiro, un angolo di Grecia che è quanto di più lontano possibile da ciò che nell’immaginario comune è considerato tipicamente greco. È la regione dove dovrebbe essere collocato il fiume Acheronte, attraverso il quale Caronte, nella mitologia ellenica, traghettava nell’Ade le anime dei morti: arrivano in soccorso miti e leggende, a ricordare che siamo pur sempre in Grecia.
Situata sulle suggestive rive del lago Pamvotida (uno dei più grandi e antichi della regione), Ioannina è anche la sede di BoWB, la Biennale dei Balcani occidentali, festival nato nel 2018 con l’intenzione di promuovere i beni comuni nel campo delle arti e della cultura, di sviluppare la partecipazione culturale e l’istruzione inclusiva e costruire una rete di mobilità al di là dei confini, rafforzando la cooperazione culturale in Grecia e nei Balcani.
Ed è proprio con alcune delle fondatrici dell’evento che andiamo alla scoperta della città, che è molto più piccola delle capitali nelle quali siamo stati nelle settimane precedenti, e che vive gran parte della sua identità a contatto con la natura che la circonda. Incontriamo Dimitris Papageorgiou, biologo, ricercatore e guida ambientale, con il quale andiamo a conoscere il lago, camminiamo lungo le sponde con attenzione verso ciò che ci circonda, per ascoltare, osservare, odorare uno spazio che forse ci è estraneo, ma che a mano a mano ci appartiene, perché impariamo a definirne i contorni, i colori.
Dimitris ci parla delle sue origini, della vegetazione, della fauna ittica, ma ci parla anche delle energie spese dalla cittadinanza, per evitare l’inquinamento e delle azioni fatte per proteggere l’ambiente e la sua natura.
Andiamo al castello della città, di origine bizantina, ma adattato a museo dell’argenteria, dove è allestita una mostra fotografica a opera di Dimitris Tosidis sulla Diava, cioè la transumanza nelle montagne a nord della Grecia. Diava è proprio il termine che definisce lo spostarsi a piedi, le foto che compongono la mostra testimoniano un’azione tradizionale e culturale, ma anche una pratica ecologica e rispettosa dell’ambiente e che mantiene la presenza umana in una delle aree montuose più remote dei Balcani. Natura è cultura.
Ed è in questo piccolo paesino tra le montagne, che facciamo l’esperienza forse più curiosa di questo viaggio collettivo alla scoperta di identità, di guerre passate, di progetti futuri, di realtà, di cultura e di arte: andiamo a funghi.
Tra la Toscana e le mie origini venete, non è certo qualcosa che personalmente non ho mai fatto. Certo, è originale collocare questo momento in un viaggio di questo tipo, dove capita molto più spesso di ragionare sul significato di quello che facciamo, sulla responsabilità e sull’esperienza di essere portatori di speranza, resistenza, resilienza…
Incontriamo i referenti dell’associazione micologica locale, e con loro iniziamo questo percorso tra i sentieri delle montagne boscose appena sopra la città, e dove, per fortuna, aveva abbondantemente piovuto fino al giorno prima. È incredibile come traspare l’emozione nel parlare delle piccole cose, quando queste son parte di una nostra passione: di questo percorso avremo sempre una viva memoria del calore con il quale Vassilis (il referente più anziano) ci ha accompagnato: la gentilezza nel gesto della raccolta, l’attenzione scrupolosa nello spolverare le radici e capovolgere i funghi, la diligenza nell’insegnarci come andare a identificare le lamelle, la spugna, gli anelli che differenziano le milioni di specie che abitano queste radure.
E quest’esperienza nella natura ha messo poi nello stesso tavolo a mangiare insieme i funghi raccolti 8 artisti provenienti da 8 regioni diverse – tutte quelle che abbiamo attraversato – e poi una fotografa spagnola, una curatrice macedone, una responsabile di progetto albanese e un’organizzatrice italiana.
I funghi diventano così l’espediente narrativo per parlare di altro, o forse parlare ancora di tutto quello di cui fino ad ora (da Sarajevo ad oggi), abbiamo fatto esperienza.
È concreto, è reale che per gli abitanti di queste zone il contatto natura sia parte della cultura intangibile di questo luogo.
L’arte è intrinsecamente un’esperienza estremamente intangibile, per quanto reale e concreta.
E proprio mentre risaliamo sul bus che ci riporta ai nostri alloggi (il giorno dopo saremmo dovuti ripartire), leggo una notizia accaduta proprio quel giorno alla National Gallery di Londra: due attiviste ambientali del movimento Just Stop Oil hanno lanciato barattoli di zuppa di pomodoro sul capolavoro di Van Gogh I girasoli. Il gruppo, non per la prima volta, chiede l’immediata cessazione di qualsiasi nuovo progetto petrolifero o legato al gas.
Abbiamo parlato di ambientalismo e arte in queste due ultime tappe, di come la contemporaneità delle manifestazioni/festival/eventi vada proprio in questa dimensione. Ed è proprio mentre cominciavo a interrogarmi sul concreto ruolo dell’artista nel tema della denuncia e dell’attivismo ecologista, che alcuni ecologisti hanno espresso la loro voce attaccando un’opera d’arte.
Non entrando nella disanima delle motivazioni, torti e ragioni di quell’atto, mi fa riflettere il fatto che, in un certo qual modo, sia stata un’opera d’arte il “palcoscenico” per sottolineare l’importanza di riuscire a esprimere un’intenzione, una posizione, una passione.
E questo pensiero diviene un allaccio con il quale concludo questo diario.
Da europea e italiana, l’arte da sempre mi/ci circonda: le chiese, le strade, i palazzi, i teatri, i musei: siamo un continente ricchissimo di storia e di cultura che fatica, a volte, a tener il passo con il presente, e con l’andare avanti del tempo. Abbiamo la fortuna di avere un’eredità immensa, un patrimonio ineguagliabile: la cura è un nostro dovere. Ma l’arte è anche sperimentazione, contaminazione, rinnovamento.
In un territorio come quello dei Balcani, in cui il passato di guerre delle quali siamo stati per lo più spettatori non è poi così lontano, l’arte è ancora più intrisa di una forte consapevolezza di poter/dover parlare alla/della contemporaneità.
Qui ho visto come l’arte ha potuto rendere belli posti che erano abbandonati, ha dato voce a chi non poteva parlare, ha espresso dissensi, ha creato comunità, ha dato colore alla speranza, ha criticato le atrocità, ha preso posizione, ha costruito luoghi, ha creato relazioni, ha riempito di suoni, ha fatto silenzio.
Per questo è così importante sostenerla, praticarla, viverla. In tutte le sue forme. Sempre. Ovunque.
Nella mia/nostra immensa fortuna di vivere in un luogo meraviglioso e dell’altrettanto fortunato destino di non aver sperimentato guerre, fame e dolore, questo viaggio e questo mio diario mi hanno fatto riscoprire l’immensa potenza dell’arte come strumento di intervento sulla realtà e, come ho ripetuto diverse volte, quanto è necessaria, difficile, crudele e al contempo straordinaria, come è l’umanità.
Chiara Donà
Relazioni e Progetti internazionali Teatro della Toscana